martedì 10 giugno 2008

INCUBO PER CINQUE SUB


08 giugno 2008

GIAKARTA - Quaranta ore d'inferno nel paradiso marino di Komodo, in Indonesia, dove cinque subacquei europei durante un'immersione sono stati trascinati via dalla corrente e, respinti dalla risacca da tutte le isole che avvistavano, ormai sfiniti, sono approdati alla salvezza sull' isoletta deserta di Rinca, abitata dai famosi varani giganti. I cinque, tre britannici di cui due donne, una svedese e un francese, sono stati salvati domenica mattina da un'imbarcazione che li ha avvistati su una spiaggia, accessibile solo via mare, su Rinca. VARANI - Quest'ultima è una delle piccole isole dove abitano i «draghi di Komodo», varani giganti, lunghi fino a 3 metri e mezzo, capaci di ingoiare una capra in un sol boccone. Attorno c'è il parco marino di Komodo, un gruppo di isolette nell' arcipelago sud indonesiano, 400 km a est di Bali, a nord dell' Australia, circondato da 120.000 ettari di mare incontaminato.
Un varano di KomodoL'AVVENTURA - L'avventura dei cinque è iniziata giovedì, quando hanno compiuto un'immersione fra i coralli vicino all'isola di Flores in compagnia di una coppia di istruttori occidentali. «Un' immersione nella corrente, come ne faccio normalmente», racconta uno di loro, il francese di 31 anni Laurent Pinel, che s'è preso un anno sabbatico per girare il mondo. «Ci siamo trovati un pò lontani dalle barche. Facevamo loro segni, ma loro non ci vedevano». A questo punto i cinque si rendono conto di essere in balia della corrente. Le barche spariscono e loro si ritrovano alla deriva in mare aperto, pinne ai piedi, bombole in spalla e giubbotto salvagente gonfio per galleggiare meglio. «Cercavamo di avvicinarci alle isole che vedevamo da lontano, di raggiungere la spiaggia, ma ogni volta venivamo respinti» dalla corrente, racconta Laurent. Sfiniti, i cinque decidono di lasciare perdere le isole, si aggrappano a un tronco e si legano insieme per i giubbotti in una catena. Scende la notte e con essa anche la consapevolezza che potrebbe essere in arrivo la morte. L'unico conforto, racconta il francese, è che «eravamo tutti solidali». «Dovevano essere le 10 e mezza di sera», dice ancora, quando, sotto un cielo senza luna, vedono la silhouette dell'ultima isoletta, dell'ultimo possibile approdo. Dopo li attende solo l'oceano aperto. L'APPRODO - «Abbiamo deciso di provarci con le poche forze che ci restavano», dice Laurent Pinel. Stavolta invece va bene, la corrente non li respinge: «Siamo approdati su una spiaggia di ciottoli, con pareti rocciose a ogni lato. Eravamo stanchi morti, sfiniti. Avevamo forti crampi». Il gruppo mette in vista tutti gli oggetti colorati per farsi vedere da lontano. Nessuno di loro ha bevuto nè mangiato. E sull'isola non c'è acqua, solo qualche mollusco sugli scogli. Ma almeno i cinque possono riposarsi. L'isoletta è quella di Rinca, ma loro lo capiscono solo quando si fa vedere una delle lucertole mostruose, che viene vicino al gruppo. «Gli abbiamo tirato qualche pietra», dice il francese. Domenica, dopo 40 ore, la fine del calvario con l' avvistamento da parte di una delle imbarcazioni di soccorso. (Ansa)


giovedì 10 aprile 2008

UN'OCCHIATA AGLI EROGATORI...




PRIMO STADIO

Le caratteristiche dei primi stadi possono presentare soluzioni tecniche differenti relativamente alla reazione della valvola ai cambiamenti di pressione, al tipo di valvola, al metodo di attacco del primo stadio alla bombola ed infine il posizionamento delle uscite di alta e bassa pressione.
Il meccanismo che riduce la pressione all'interno del primo stadio può essere diviso in due categorie: a pistone e a membrana. Negli erogatori a pistone la pressione dell'acqua viene trasmessa al pistone che è la parte mobile principale; in quelli a membrana la pressione si applica su una membrana elastica e da questa viene poi trasmessa ad un alberino che è la vera parte in movimento. Gli erogatori a pistone generalmente hanno meno parti in movimento rispetto a quelli a membrana, cosa che li può rendere meno soggetti a rotture. D'altro canto mentre nei primi stadi a pistone l'acqua entra all'interno del primo stadio, in quelli a membrana l'acqua non viene in contatto con i meccanismi interni, contribuendo a prevenire la corrosione, o garantendo il corretto funzionamento anche in acque fortemente inquinate o con presenza di sospensione.

Entrambi i tipi di primo stadio possono utilizzare valvole bilanciate o meno. Questa è una differenza fondamentale di cui tener conto, in quanto i primi stadi non bilanciati sono, entro certi limiti, influenzati dalla pressione della bombola e da quella ambiente, ovvero si può avere un calo di prestazioni ad elevate profondità e con poca pressione residua nella bombola. Al contrario un primo stadio bilanciato è in grado di offrire prestazioni costanti, senza essere influenzato dalla pressione della bombola, ed assicurando una maggior efficienza anche in caso di respirazione in coppia da un medesimo primo stadio.
Per quanto riguarda le connessioni con la bombola le soluzioni sono due: attacco internazionale (o brida) e DIN. Il primo consiste in una staffa di fissaggio che va inserita sulla rubinetteria della bombola e bloccata con una vite. La tenuta è garantita da un o-ring posto sulla rubinetteria della bombola. Questo attacco, seppur molto comune nella subacquea ricreativa, è fortemente sconsigliato nella subacquea avanzata/tecnica in quanto esiste la possibilità di scoppio o estrusione dell'o-ring di tenuta con conseguente perdita d'aria. Problema risolto invece dalla connessione DIN. Con questa il primo stadio si avvita direttamente nella rubinetteria della bombola, senza possibilità di estrusione dell'o-ring. Permette inoltre di utilizzare pressioni molto più elevate dei 225bar delle connessioni int.
Alcuni primi stadi possono montare un kit opzionale che li isoli dall'ambiente esterno. Per mezzo di questi l'acqua non viene a contatto col pistone ma con una barriera esterna formata di solito da una membrana e del liquido al silicone o a base d'alcool. I vantaggi offerti da questo sistema sono sia di evitare che sale, sedimenti o contaminanti possano entrare a contatto con i meccanismi del primo stadio, sia permettere l'utilizzo dei primi stadi a temperature dell'acqua molto basse (di solito sotto i 5-6 °C) in cui altrimenti si potrebbe verificare il congelamento e conseguente blocco del primo stadio.

SECONDO STADIO

Le caratteristiche dei secondi stadi si possono sussumere in due grandi categorie: upstream e downstream. Le valvole downstream (ovvero a favore del flusso) sono le più comuni. I vantaggi di questa tipologia stanno nel fatto che se l'erogatore dovesse avere un malfunzionamento, andrebbe in erogazione continua invece di interrompere il flusso d'aria. Il sub, teoricamente, dovrebbe poter continuare a respirare dall'erogatore in continua mentre effettua la risalita. Questa caratteristica li ha resi noti anche come "fail safe"(a prova di rottura, o a sicurezza totale). Negli erogatori upstream, invece, la leva di richiesta apre una valvola pilota, che a sua volta apre una valvola principale pù grande. Il vantaggio di questo sistema è quello di fornire un maggior flusso d'aria con minor sforzo. Gli inconvenienti degli upstream stanno nella complessità e nel costo, nonchè el fatto che in caso di malfunzionamento è probabile che il flusso d'aria si blocchi definitivamente.

lunedì 7 aprile 2008

APOLOGIA dell'immersione profonda in aria

Bersagliata ed ettichettata da tutti come la summa infamia, l'immersione profonda in aria, continua ad avere un'importanza fondamentale nel subacqueo profondista, pronendosi metaforicamente ocme "corso Open Water" di subacquea tecnica...
Premetto che sarò di parte, nettamente a favore del Deep Air.Oggi, nel bene e nel male, la subacquea tecnica in Italia ha avuto un boom senza precedenti: reperibilità di miscele binarie e ternarie pressochè ovunque, attrezzature tecniche che ormai si trovano anche al supermercato, manuali e know-how da ogni parte e soprattutto una ventata di "aria" nuova (scusate il gioco di parole), per un mercato, quello ricreativo, che ormai languiva. Eccola la manna dal cielo, finalmente anche in Italia. Basta una parola a descriverla: TRIMIX. Come tutto ciò che è progresso, anche questa innovazione (e chiariamo: innovazione per noi, perchè oltreoceano si usa almeno da fine anni ottanta a livello amatoriale, e da più di mezzo secolo a livello militare e commerciale). Con l'avvento di questa miscela ovviamente sono arrivati anche i corsi. Inutile fare nomi, le didattiche le conosciamo, ma se da un lato troviamo i "pionieri" delle miscele (PSA, PTA-CMAS, CMAS, TDI, IANTD, GUE, et.al.) che possiamo definire didattiche tecniche "Pure", perchè votate alla preparazione tecnica, oggi invece troviamo anche le didattiche ricreative che si son lanciate nel mercato tecnico. Purtroppo senza un'esperienza diretta nel settore, ma prendendo qua e là...uno standard da uno, una configurazione da un altro...e così ci offrono manuali belli, patinati...e pericolosi...perchè a mio parere pubblicizzare UN CORSO TRIMIX (ancorchè normossico) facendolo apparire facile facile come un corso Open Water E' ESTREMAMENTE RISCHIOSO. Subacquei che ancora non hanno l'assetto, che pallonano, perchè un istruttore lungimirante gli ha venduto otto corsi in uno e adesso gli vende anche il nono...come possono affrontare un corso trimix????????Parliamoci chiaro il trimix, nonostante tutto quel che si dice, non è una barzelletta o una misciela con cui scherzare. CI VUOLE PRECISIONE nel suo utilizzo.E assieme a grandi vantaggi porta con sè , come tutte le cose, il rovescio della medaglia...dai...non diciamo che è perfetto!!!!E arrivo al punto..... un corso come il Technical Deep Air, PTA in questo caso, ma anche di altre didattiche, sia chiaro, è quanto di meglio si possa chiedere per prepararsi all'utilizzo delle miscele ternarie. E' un corso altamente formativo, costruito e studiato per raggiungere obiettivi precisi pur rimanendo, nonostante le quote, entro limiti di sicurezza accettabili.L'obiettivo del corso? E se invece che essere quello di "fare gli sboroni" sparandosi giù a -60 in aria fosse quello di darci la "forma mentis" del profondista? Quello di farci ragionare in maniera ocmpletamente diversa dal sub ricreativo? Di insegnarci ad avere il controllo, minuto per minuto, dell'immersione? Questi sono gli obiettivi del Deep Air: imparare ad operare in situazioni limite (forte narcosi, elevate ppO2, carico di stress elevato, multiple tasks da completare) per poi essere perfettamente a nostro agio in condizioni "medie"...ad esempio -60 in Trimix... E se invece che fermarvi a giudicare il corso Deep Air guardaste anche il Technical trimix...sorpresa...è più o meno la stessa cosa, ma fatta in miscela invece che in aria. Dunque un corso di formazione, ecco cos'è secondo me. Ma è difficile capirlo se non si prova. E vi garantisco che l'immersione a -60 è paradossalmente molto più sicura di quella ricreativa (...adesso m'ammazzate!!!), quantomeno perchè prima di toccare l'acqua c'è (o ci dovrebbe essere) una pianificazione a tavolino che può durare anche giorni e che prende in considerazione tutte le possibilità, gli incidenti e le emergenze, e ne trova la soluzione PRIMA di andare in acqua.....esiste qualcosa di ismile nel ricreativo? neanche lontanamente.......concludendo, e citando il sito PTA "è il Corso più importante, il più formativo di tutti."

giovedì 20 marzo 2008

PESCA A STRASCICO: PERICOLO NUMERO 1


fonte Greenpeace

La grande industria della pesca commerciale si è purtroppo accorta di quanto siano remunerative le profondità oceaniche, e ha esteso le sue pratiche di pesca insostenibile fino a sfruttare gli abissi incontaminati e le montagne sottomarine, usando una tecnica che si chiama "pesca a strascico". La pesca a strascico è utilizzata anche in fondali meno profondi, a volte con effetti altrettanto devastanti, in particolare quando si esercita su fondali rocciosi o sulle praterie di posidonia.La pesca a strascico negli abissi prevede che delle enormi e pesanti reti da pesca vengano trascinate lungo i fondali. Le larghe placche metalliche e le ruote di gomma attaccate a queste reti si muovono sui fondali spazzando via qualsiasi cosa lungo il loro percorso. Sappiamo che le forme di vita presenti sui fondali sono molto delicate e reagiscono molto lentamente a questi danni: servono decine, centinaia di anni per un recupero totale, ammesso che un recupero completo sia davvero possibile.Se non si fa niente per fermarli, i pescatori a strascico distruggeranno moltissime specie prima ancora che vengano scoperte: è come guidare un enorme bulldozer in una foresta rigogliosa e inesplorata e distruggere tutto, lasciando dietro di sé un deserto sterile e senza futuro.

lunedì 18 febbraio 2008

SALVIAMO GLI SQUALI

Problema che affiligge tutti i mari del mondo, ma che nei nostri mari sta portando ad una vera e propria mattanza che ha portato il pescato di squali a calare del 90% circa negli ultimi dieci anni, pur rimanendo invariata la mole di pesca. Spesso lo squalo non è neanche pescato di proposito, ma resta impigliato nelle reti.
La carne non è granchè saporita...solitamente commercializzata sotto nomi quali cagnoletto o vitello di mare....
....non cambia niente nelle nostre tavole se NON COMPRIAMO CARNE DI SQUALO...ma forse nei nostri mari sì!



SHARKWATER



domenica 20 gennaio 2008

Tragica fatalità all'Elefante Bianco (Valstagna VI)

Rappresentazione grafica della grotta(Luigi Casati)


Recuperato il corpo dello speleosub all’Elefante Bianco
Comunicazione telefonica con Mauro Guiducci, coordinatore nazionale addetti stampa CNSAS

Il corpo dello speleosub della Repubblica Ceca scomparso domenica alla grotta dell’Elefante Bianco al laghetto di Subiolo a Valstagna (VI) è stato individuato e recuperato ieri sera.
Ieri un robot subacqueo filoguidato è stato condotto da un operatore dei Vigili del Fuoco all’interno della grotta sommersa, seguendo le indicazioni di Alberto Cavedon, tecnico della Commissione Speleosubacquea del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, che in quella grotta ha effettuato più di 300 immersioni e la conosce palmo a palmo.

Con una visibilità di trenta centimetri, dopo aver superato la galleria discendente lunga circa 45 metri, inclinata di 40 gradi che a -50 metri da accesso al successivo pozzo di -70 metri, l’esperienza dello speleologo ha portato i soccorritori a scegliere di far risalire il robot verso l’alto e verso la volta dove è stato avvistato il corpo dello speleosub ceco.
Cavedon si è immerso da solo, ha raggiunto lo speleosub morto, lo ha portato fino all’imbocco della galleria inclinata a circa -45 metri e lo ha legato con le sagole per non farlo trascinare via dalla corrente, quindi ha ripulito il tratto dalle vecchie sagole abbandonate, pericolose sia per il passaggio di altri speleosub, sia perchè possono confondere l’orientamento a chi conosce poco la grotta.
Poi il tecnico CNSAS è tornato in superficie e si sono immersi i sub dei Vigili del Fuoco che hanno recuperato il corpo.
Cavedon ha proseguito le operazioni con l’operatore del robot per riportarlo fuori, dimostrando ancora una volta l’ottima conoscenza della grotta, facendo riemergere il robot ad un metro di distanza dall’operatore.

martedì 15 gennaio 2008

Parco dell'Uccellina

Questa volta invece che images "from the deep", qualche image "from the surface", dalla Maremma!